Hard Skills vs Soft Skills: Perché nelle aziende di produzione la vera sfida è manageriale
Il tuo miglior tecnico è diventato il tuo peggior manager? Non sei il solo.
È uno scenario fin troppo comune nelle aziende di produzione e manifatturiere. Promuovi il tuo tecnico più esperto, quello che conosce ogni macchinario e risolve problemi complessi a occhi chiusi, a un ruolo di responsabilità. Ti aspetti che la sua eccellenza tecnica si traduca in una gestione impeccabile del team. E invece, dopo sei mesi, la produttività cala, il morale è a terra e i conflitti interni aumentano.
Cosa è andato storto?
Hai commesso l’errore più comune del settore: hai dato per scontato che una grande leadership tecnica fosse sinonimo di una grande leadership manageriale. La verità è che le competenze che rendono eccezionale un tecnico sono raramente le stesse che servono per guidare, motivare e far crescere un team di persone.
Il costo nascosto della sola leadership tecnica
Quando in fase di selezione o promozione ci si concentra quasi esclusivamente sulle hard skills, si corre un rischio enorme. Il rischio è di trovarsi con persone tecnicamente ineccepibili ma incapaci di gestire le dinamiche umane. Come emerso in una recente conversazione con un People Director di una multinazionale del settore, “il rischio è che in una realtà produttiva come la mia ci si focalizza tanto sulle skills tecniche, poi ti trovi ad avere persone con questa forte leadership tecnica ma che da un punto di vista manageriale poi fanno fatica”.
Questo “fare fatica” si traduce in costi molto concreti per l’azienda:
- Demotivazione del team: Un manager che non sa comunicare, delegare o dare feedback costruttivi crea un ambiente di lavoro frustrante.
- Aumento del turnover: Le persone non lasciano le aziende, lasciano i cattivi capi. Perdere talenti costa tempo e denaro.
- Calo di produttività: Un team senza una guida efficace perde l’allineamento, lavora a compartimenti stagni e non raggiunge gli obiettivi.
- Incapacità di crescere: Se il manager non sa sviluppare le competenze dei suoi collaboratori, l’intero reparto ristagna.
Perché un’ora di colloquio non basta
Il problema principale è che le soft skills – comunicazione, empatia, gestione dei conflitti, visione strategica – sono incredibilmente difficili da valutare in un’ora di colloquio. In un’intervista, siamo tutti più concentrati a verificare le competenze tecniche (“conosce questo software?”, “ha esperienza su questo processo?”) e le capacità relazionali passano in secondo piano.
Un candidato brillante può mascherare facilmente le sue carenze manageriali, mentre un HR o un manager di linea, focalizzato sulle urgenze produttive, potrebbe non avere gli strumenti per andare oltre la superficie. Il risultato? Si sceglie il candidato “sicuro” dal punto di vista tecnico, rimandando la valutazione comportamentale a quando, spesso, è troppo tardi.
La soluzione: portare dati oggettivi nella valutazione
Come si esce da questa impasse? Smettendo di affidarsi solo alle impressioni e iniziando a usare i dati. Gli assessment comportamentali, come il PDA Assessment, sono strumenti scientificamente validati che forniscono una “radiografia” oggettiva, nero su bianco, delle tendenze comportamentali di una persona.
Questi strumenti non sostituiscono il colloquio o l’esperienza dell’HR, ma li potenziano. Permettono di:
- Misurare le competenze soft: Valutano lo stile di leadership, la modalità di comunicazione, la gestione della pressione e l’orientamento al risultato.
- Confrontare il candidato con il ruolo ideale: È possibile creare un profilo del manager ideale per quella specifica funzione e vedere il “gap” tra il candidato e le aspettative.
- Avviare una conversazione basata sui dati: Invece di dire “secondo me, questa persona non è adatta”, si può dire “i dati mostrano che potrebbe avere difficoltà nella gestione dei conflitti”.
Come “educare” l’azienda a un nuovo approccio
Introdurre questo metodo richiede un cambio culturale, specialmente in contesti dove la hard skill è sempre stata regina. La strategia più efficace è quella di “educare” i manager di linea coinvolgendoli nel processo. Ecco come:
- Definite insieme il successo: Prima di iniziare la selezione, siediti con il responsabile della funzione e chiedigli: “Oltre alle competenze tecniche, quali 3 comportamenti renderanno la persona scelta un successo in questo ruolo?”.
- Presentate i dati: Quando presenti la rosa finale di candidati, mostra non solo i CV, ma anche i report dell’assessment. Evidenzia come ogni candidato si posiziona rispetto alle competenze comportamentali che avete definito insieme.
- Lascia che scelgano (e impara insieme): Se il manager sceglie comunque il candidato forte tecnicamente ma debole a livello soft, non è una sconfitta. È un’opportunità di apprendimento. Quando, mesi dopo, emergeranno i problemi, potrai tornare da lui e dire: “Ricordi l’analisi che avevamo fatto? Ecco dove si sta manifestando il problema. Lavoriamoci insieme”. Questo approccio, basato sulla collaborazione e sui dati, è il modo più potente per far passare il messaggio.
Domande frequenti (FAQ)
- Un assessment può davvero predire il successo di un manager?
Nessuno strumento ha la sfera di cristallo, ma un assessment validato aumenta drasticamente l’accuratezza della previsione. Riduce i bias e fornisce una base oggettiva per una decisione che altrimenti sarebbe basata solo sull’intuito. - Come convinco un manager di linea, abituato a decidere “di pancia”, a fidarsi di questi strumenti?
Faglielo provare. Offrigli di compilare l’assessment per sé stesso o per un membro del suo team che conosce bene. Quando vedrà l’accuratezza del report e la profondità delle informazioni, la sua percezione cambierà radicalmente.
Smetti di rischiare. Inizia a scegliere con i dati.
Promuovere sulla base delle sole competenze tecniche è una scommessa che la tua azienda non può più permettersi di perdere. È il momento di riequilibrare la bilancia e dare alle soft skills il peso strategico che meritano.
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