Prima di addentrarmi nell’argomento di questo post, chiarisco la differenza tra Smart Working e Remote Working. Anche se in entrambi i casi, si lavora da una postazione “lontana” dal proprio ufficio, nel primo caso si lavora per obiettivi, nel secondo si cerca la continuità.

Credo che in questo momento ci sia molta confusione tra questi termini, anzi chiariamo subito una cosa: quello che molte persone cercano di fare è cercare di continuare a lavorare come se fossero in ufficio, ma da casa. Cosa impensabile (a meno che tu non viva da solo/a). Dobbiamo adattarci a condividere lo spazio con le altre persone che sono a casa con noi e che probabilmente hanno bisogno di spazi e banda per continuare con le proprie attività, lavorative o scolastiche che siano. Se vuoi conoscere come faccio io, clicca qui.

Di cosa stiamo parlando?

Lo smart working è un modello di organizzazione del lavoro che si basa sulla maggiore autonomia del lavoratore che, sfruttando appieno le opportunità della tecnologia, ridefinisce orari, luoghi e in parte strumenti della propria professione. È un concetto articolato, che si basa su un pensiero critico che restituisce al lavoratore l’autonomia in cambio di una responsabilizzazione sui risultati; spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice e dell’Osservatorio Smart Working e docente di Leadership AND Innovation alla School of Management del Politecnico di Milano.

In questa definizione ci sono due degli aspetti che considero importanti per poterlo applicare: autonomia e responsabilizzazione. Si tratta di dare al collaboratore la possibilità di organizzare il proprio lavoro e di essere artefice dei propri risultati, tenendo in considerazione le necessità dell’organizzazione e del proprio cliente interno.

 

Il controllo, nemico dello Smart Working

Ed arriviamo al terzo aspetto importante di questa pratica: la fiducia. Perché chiariamo che non si tratta di fare una foto ogni cinque minuti per assicurarsi che i dipendenti lavorino, ne tanto meno di tenerli tutto il giorno in riunione, senza lasciare il tempo materiale per fare il loro lavoro. Non si tratta del controllo di ogni singola task, ma di un supporto e di un accompagnamento nel far crescere la persona a tal punto da poterla lasciare libera e autonoma nell’organizzare la propria giornata, sapendo che sarà attenta al valore che il suo lavoro ha per il resto dell’organizzazione.

Quando parlo di fiducia nel proprio collaboratore, parlo di quel rapporto che il leader (non ho detto capo volutamente) ha creato con lui nel tempo, e questo è possibile se si mettono in atto modi di lavorare che fomentino la fiducia, come ad esempio:

  • Una chiara comunicazione di obiettivi e modalità di lavoro.
  • Implementando il lavoro agile.
  • Creando e alimentando l’ingaggio del collaboratore verso l’azienda ed il team al quale appartiene.

Fiducia, autonomia e responsabilizzazione

Quindi ci troviamo con tre elementi che si alimentano a vicenda, senza uno di questi tre, non c’è Smart Working.

Già nel 2016, David Bevilacqua – Managing Director Energy Way e Co-Founder Yoroi – enunciava: “Lo smart working è la nuova parola d’ordine del settore digitale, ma lo smart working non è solo un argomento tecnologico, riguarda molto di più la leadership e il cambiamento culturale manageriale.”

Si tratta di un cambio di paradigma per quanto riguarda la leadership, e deve forzatamente essere accompagnata da un cambiamento nella cultura aziendale. Perché tutto in azienda, deve trasudare fiducia, autonomia e responsabilizzazione. La flessibilità oraria, gli spazi fisici, la tecnologia utilizzata sono una conseguenza di questi tre elementi.

 

Smart Working è lavorare per obiettivi, c’è fiducia ed ingaggio. I capi che “controllano” non riescono a portare avanti questa modalità.
Carolina Bussadori

 

 

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